Il prossimo anno, nel 2019, il bilancio partecipativo compirà 30 anni. Era infatti il 1989 quando nella città brasiliana di Porto Alegre venne inaugurata questa pratica di democrazia attiva. Un’esperienza di partecipazione che la capitale dello stato del Rio Grande do Sul volle sperimentare per dare un segnale importante di risposta alla crisi sociale e al degrado politico ed economico in cui versava. Uscita da anni di dittatura militare i cittadini brasiliani, dopo aver scelto la via democratica, ebbero la possibilità in un decennio di gestire in prima persona con le proprie scelte oltre 700 milioni di dollari con una percentuale della quota destinata al bilancio partecipativo arrivata sino al 25%.
Lentamente ma progressivamente questa pratica si diffuse in tutto il mondo per approdare in Italia nel 1994 quando il comune marchigiano di Grottammare aprì la strada per forme di gestione partecipata della progettazione e del finanziamento di opere e interventi pubblici. Da quel momento in poi sono stati moltissimi gli esempi di Comuni virtuosi che hanno deciso, va detto con fortune e risultati alterni e non sempre confortanti, di aprire le porta alla partecipazione dei cittadini. Negli ultimi 4 anni l’area urbana di Milano e anche il capoluogo hanno visto un proliferare di iniziative. Spesso soprattutto nei centri più grandi si decide di suddividere gli interventi per quartieri o circoscrizioni, oppure sono promosse forme complementari di partecipazione con specifiche categorie lavorative e professionali, nonché attori economici e stakeholders.